Petrus
Reg.: 17 Nov 2003 Messaggi: 11216 Da: roma (RM)
| Inviato: 01-04-2006 22:09 |
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Quando si parla del fenomeno mafia si fa sempre fatica a parlar male di chi se ne occupa, o di chi lo affronta in prima persona. Come Marco Amenta, che proprio sulla mafia imposta il suo docufilm, Il Fantasma di Corleone.
Purtroppo, là dove finiva il preciso e rigoroso In un Altro Paese, altro documentario sul tema presentato da Fandango un paio di mesi fa, e cioè alla morte di Falcone e Borsellino, inizia la trattazione di Amenta. E là dove finisce la precisa geometria di una pellicola appassionata e attentissima ai fatti, inizia un ibrido tra fiction e ricostruzione, poggiato su basi effimere e su scenari costruiti con esilissimi collegamenti.
Quando si scende nello specifico di affermazioni pesanti, per esempio, che il regista, in voice off nel documentario, distilla come dati più o meno oggettivi (tra le altre, le presunte “zone d’ombra” nell’arresto di Riina), l’interessato è costretto a liquidare il discorso con un semplice “sono elaborazioni del tutto personali”.
Tutto il documentario, che nel parlare della storia recente della mafia si concentra sullo straordinario periodo di latitanza di Bernardo Provenzano (ormai 43 anni) si stiracchia su tesi e teorie più o meno stinte o non provate nei fatti. Il tutto a scapito di una qualsiasi ricostruzione attenta della realtà, cosa che fa assimilare la pellicola ad un semplice e scarno pamphlet di divulgazione politica.
Peccato perché, sparse qua e là, si intravedono ottime intuizioni. La proposizione dei “pizzini” originali di Provenzano, gli originali messaggi che il capomafia usava (e usa) per comunicare con i suoi sottoposti, con la moglie e con i figli. E l’assurgere a protagonista dell’ispettore Linares, capo dell’unità mobile della polizia di Taranto. Questo imprimere centralità alla figura del poliziotto contribuisce a dare allo spettatore il senso della “prima linea”, del primo impatto della lotta delle istituzioni contro Cosa Nostra, con tutta la sua brutalità e la necessità di compromessi. Il tutto lo si fa forzando la mano, e cercando di aumentare esponenzialmente il coinvolgimento dello spettatore attraverso la ricostruzione totale di supposte azioni di polizia. Il creare un confine tra ciò che si palesa come realtà e momenti in cui il discernimento diventa difficile è, a nostro avviso, pericolosissimo per un argomento che investe così pesantemente la nostra quotidianità.
Pur riconoscendo ad Amenta coraggio e passione, non si può fare a meno di non riconoscere nel suo lavoro tutti i tratti somatici del “moorismo” più deleterio. Il quale, a quanto pare, purtroppo ha fatto scuola.
già pubblicato qui
_________________ "Verrà un giorno in cui spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate" |
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